La prima volta che sentii nominare questo nome fu in occasione di un mio viaggio nel Connemara, e di una visita alla fortezza di Aughanure Castle, residenza dei bellicosi O’Flaherty che controllarono la zona per centinaia d’anni.



Aughanure Castle

Per questa figura femminile provai un’istintiva attrazione e curiosità, perfettamente motivate dalla sua storia inusuale e da un carattere decisamente testardo. Uno dei nomignoli attribuitole è quello di Grainne Mhaol, in gaelico “la calva”. Racconta un aneddoto che, per il desiderio di seguire il padre in una spedizione in mare aperto, ella prontamente sacrificò i lunghi capelli che avrebbero potuto esser d’intralcio, e vestì abiti maschili. La “regina del mare del Connemara”, come oggi è consacrata alla leggenda, trascorse tuttavia i primi anni della sua esistenza in modo tutt’altro che avventuroso: per quanto attratta, già in età adolescenziale, dalla vita del mare (il padre, leader del clan degli O’Malley, era un navigatore, fatto del resto non inusuale a metà ‘500, quando il richiamo delle terre d’oltreoceano si fece irresistibile per molte nazioni europee) fu obbligata ad un precoce matrimonio con Donal O’Flaherty, membro e futuro leader di un clan rivale, dal quale ebbe tre figli. La sua istintiva attrazione per il mare, sempre frustrata dai genitori, ed in particolare dalla madre, che voleva per lei una tranquilla esistenza da gentildonna, non trovò sbocco almeno sino alla morte del marito. La giovane sposa sedicenne, legata al marito da un matrimonio di convenienza e non d’amore, come sempre accadeva all’epoca, seppe tuttavia guadagnarsi il rispetto degli uomini del clan, prendendo parte attiva ai loro traffici (e, secondo fonti accreditate, sottraendo al marito il comando della flotta, ottenendo una posizione di inusuale spicco per l’epoca). Quando O’Flaherty perse la vita in battaglia, la giovane vedova ritornò alla sua dimora, rientrando in possesso del castello di famiglia sulle sponde del Lough Corrib. La seguirono i tre figli e ben duecento membri del clan O’Flaherty.

Da questo momento, parve dimenticare la sua tranquilla esistenza di sposa e madre, e si interessò sempre più vivamente al commercio e ai rapporti con la corona inglese, con la quale, anzi, ingaggiò un coraggioso “braccio di ferro”. Arricchitasi grazie a traffici, più o meno legittimi, ed entrata in possesso di ben cinque castelli nella contea di Clare, la O’Malley si sentì abbastanza forte da opporsi agli Inglesi. In quegli anni, durante il regno di Elisabetta I Tudor (1558-1603), l’ingerenza inglese nella vita politica ed economica d’Irlanda si fece sempre più marcata, a discapito dell’autorità dei clan locali, e degli O’Malley in particolare. Si racconta che Grace abbia incontrato la sovrana inglese per “mercanteggiare” circa il rilascio di alcuni tra i suoi figli, fatti prigionieri dalle truppe inglesi. Un gesto ardito, visto che ben pochi irlandesi si sarebbero arrischiati a metter piede in Inghilterra, per timore di essere imprigionati o condannati a morte. In cambio della libertà, Grace offrì alla regina la cessazione della pirateria irlandese contro le navi inglesi. Curiosamente, la conversazione avvenne in latino, poiché entrambe ignoravano la lingua dell’altra: Elisabetta non conosceva il Gaelico, e Grace non parlava inglese. A corte, Grace commise parecchie gaffe contrarie alla rigida etichetta reale. Starnutì rumorosamente e, soffiatasi il naso in un elegante fazzoletto di pizzo portole da una dama, non esitò a gettarlo nel fuoco. Dinnanzi all’imbarazzo generale, fece spallucce, ribattendo che era usanza, in Irlanda, sbarazzarsi delle cose sporche. Pare tuttavia che alcune richieste inoltrate dalla O’Malley non siano state ascoltate da Elisabetta. Per una sorta di ripicca, nonostante la tarda età, Grace riprese la sua attività di pirata, sino all’anno della morte, il 1603, stesso anno del decesso di Elisabetta I e della fine della dinastia Tudor.


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