Il Globe fu uno dei primi teatri ad essere costruito "dentro le mura", ovvero all'interno della città fortificata. Fu una conquista graduale: in effetti, i teatri ed i teatranti erano, all'epoca, circondati, o meglio accompagnati, da un alone di scarsa rispettabilità. I teatri erano considerati luoghi immorali, poco consoni specialmente alle donne. Non è un caso che fosse vietato recitare alle donne, con conseguenze immaginabili sul "realismo" e credibilità delle opere: i meravigliosi ruoli femminili pensati da Shakespeare erano affidati, per forza di cose, a ragazzini imberbi, dalla voce ancora poco profonda.

Ma procediamo con ordine.
Quello che vediamo, oggi, sulle rive del Tamigi non è il teatro originale dove Shakespeare lavorò, come drammaturgo e come attore. E' una ricostruzione, per quanto fedelissima, di quel teatro che andò distrutto in un incendio all'inizio del '600. Ricostruzione fortemente voluta da un americano, tale Sam Wanamaker, al quale è dedicata una targa "in memoriam" all'ingresso del teatro. La struttura, in legno e tetto in paglia, era in effetti facilmente preda delle fiamme. Per questa ragione gran parte del Globe è a cielo aperto, senza un tetto vero e proprio: la luce diurna doveva filtrare ed illuminare il palcoscenico, per evitare l'uso di pericolosissime torce (preoccupazione legittima, ma era destino che il Globe finisse distrutto in un incendio). Ne consegue che tutte le rappresentazioni avvenissero durante il giorno, e mai di sera.
Curiosa ed interessantissima la struttura interna del luogo, che condizionò anche il carattere delle opere. Come spiegare, altrimenti, il perché dell'inserimento di scene comiche, al limite del volgare, in tragedie appassionate e tristissime, come il "Romeo and Juliet"?

Il grande miracolo del '500 inglese, l'epoca elisabettiana, miracolo dovuto, senza dubbio, anche al genio indiscutibile di Shakespeare, fu il riuscire ad attirare a teatro TUTTI i ceti sociali. Senza distinzione di classe, disponibilità economica o titolo di studio, tutti frequentavano il Globe. Anche gli analfabeti, che mai avrebbero potuto leggere un'opera di Shakespeare, ma che certo l'avrebbero potuta apprezzare dal vivo, anche per l'inserimento di piccole "chicche" comiche, volute dall'autore, per rendere gradevole a tutti ogni sua opera. I meno abbienti restavano in piedi, accontentandosi di pagare uno scellino per stipare il cortile, ai piedi del palcoscenico. I più ricchi ed i nobili, per qualche scellino in più, potevano invece sedere sulle panche di legno (niente velluti o poltroncine, naturale evoluzione della storia del teatro in epoche successive), coperte da un tetto, per riparare da eventuali intemperie anche le teste coronate (pensate che la regina Elisabetta I in persona amava nascondersi tra la folla ed assistere alle rappresentazioni senza farsi riconoscere).

Il palcoscenico era suddiviso in tre parti: l'apron (che significa letteralmente "grembiule" era la parte sporgente, verso il pubblico), il backstage corrispondeva al "dietro le quinte", dove gli attori si preparavano, ed infine l'upper stage serviva per scene sopraelevate, come la scena del balcone, nel "Romeo and Juliet".

Una curiosità: la prima attrice donna comparirà in una tragedia di Shakespeare, l'"Otello", solo nel 1660, quando i teatri, dopo un ventennio circa di chiusura ordinato dai Puritani, riaprono e rispolverano le grandi tragedie di Will (lo chiamiamo così, affettuosamente...). Eppure, la grande magia dell'epoca elisabettiana era svanita. Da lì a breve, i teatri sarebbero divenuti luogo d'elite, per aristocratici ricchi e viziati, escludendo per sempre i ceti sociali più deboli. Anche i contenuti ne avrebbero risentito. Non è un'eresia dire che, dopo le altissime vette di poesia raggiunte da Shakespeare, il teatro inglese dovrà aspettare tre secoli, sino a fine Ottocento, per ritornare a nuova vita, con personaggi di spicco come Oscar Wilde e George Bernard Shaw.